mardi 29 mai 2012

Analogia e teologia


Alberto Strumìa

Il ricorso all'analogia in teologia si rende necessario per molteplici ragioni. Non potrebbe essere diversamente, in quanto la ragione umana, di per sé creaturale, può accostarsi al mistero di Dio solo conservando la distanza fra creatura e Creatore, riconoscendo cioè che si può parlare di Lui non certo in modo univoco, ma neanche equivoco, bensì “analogo”. Nel contesto di una metafisica dell'essere, l'analogia entis consente di accedere all'esistenza di Dio come fondamento dell'essere delle cose e di poter predicare di Dio attributi e perfezioni che si riconoscono presenti, in modo partecipato, nelle sue opere. Ma è lo stesso linguaggio della rivelazione divina, così come presentato dalla  Sacra Scrittura, a ricorrere all'analogia in varie delle sue forme sia proprie che improprie, come lo sono ad esempio la metafora, ma anche la “parabola”, per esprimere, servendosi di concetti umani, ciò che di per sé resterebbe trascendente ed inesprimibile. Il linguaggio analogico viene poi utilizzato dalla  teologia nel suo tentativo di accostarsi, mediante il ricorso ad immagini e paragoni, ai misteri della fede, ma anche per collegarli fra di loro, cogliendone così l'intima coerenza nel piano salvifico di Dio.

1. La conoscenza di Dio e i nomi divini. Le applicazioni dell’analogia alla teologia si collocano dunque a diversi livelli. Il primo problema che si pone è quello della conoscenza di Dio, sia al livello della sola ragione umana ( Dio, IV.1) che al livello della  fede che si fonda sulla conoscenza rivelata di Dio. La teologia ha percorso, tradizionalmente due vie a questo scopo: la prima è la via “apofatica” o “negativa”, tipica della tradizione dell’oriente cristiano, che pone l’accento sul fatto che di Dio possiamo conoscere con certezza ciò che “non è” piuttosto che quello che è. Seguendo questo approccio dalla nozione di Dio viene esclusa, ad esempio, la composizione e quindi la corporeità, la limitatezza, ogni forma di imperfezione, e così via. A questa teologia negativa l’occidente cristiano, trovando appoggio nel riferimento esplicito all'analogia contenuto nel Libro della Sapienza (cfr. Sap 13,5), ha affiancato una teologia “positiva” ( Sapienza, libro della, III.3). Basandosi sull’analogia di proporzione semplice, essa permette di riconoscere in Dio una somiglianza con le perfezioni che riscontriamo nelle creature, quali effetti il cui analogato principale è Dio stesso (cfr. Summa theologiae, I, q. 12). Si tratta di una approccio conoscitivo che certamente non dissolve il mistero in quanto, come ricorda il Concilio Lateranense IV, «fra il Creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza» (DH 806).

Un altro problema classico della teologia, strettamente legato a quello della conoscenza di Dio, è quello degli appellativi che si possono attribuire correttamente a Dio (“nomi divini”). Già trattata nel De divinis nominibus dallo pseudo-Dionigi, la tematica viene svolta compiutamente da Tommaso d’Aquino, il quale farà giocare ancora all'analogia un ruolo determinante. Anzitutto egli stabilisce che non vanno attribuiti a Dio i nomi che designano ciò che certamente Dio non è (imperfezioni e limiti ontologici e morali). Poi, dal momento che l’uomo si esprime necessariamente attraverso un linguaggio che denomina primariamente le creature, noi possiamo attribuire a Dio gli appellativi con i quali designiamo le perfezioni delle creature, ma solo analogicamente. Queste ultime, infatti, sono un effetto rispetto a Dio che ne è la causa, una causa che non è conosciuta da noi direttamente. Non possiamo parlarne univocamente perché Dio è una causa infinitamente superiore ai suoi effetti e trascende la loro natura, non rientrando in alcun genere; non equivocamente in quanto c’è un rapporto di causa-effetto, una relazione reale da parte delle creature nei confronti di Dio. Così i nomi delle perfezioni di Dio si dicono secondo un’analogia di proporzione essendo Dio l’analogato principale: quando si dice che Dio è “buono”, lo si dice più propriamente di Dio che è buono in se stesso, che delle creature che lo sono per partecipazione. Altri nomi vengono poi attribuiti a Dio solo metaforicamente: questo accade quando si designa una perfezione attraverso il nome della creatura che la possiede e si attribuisce a Dio il “nome della creatura” anziché quello della perfezione, intendendo riferirgli la perfezione. Ciò avviene ad esempio quando la Sacra Scrittura chiama Dio con gli appellativi di “roccia” o “leone” intendendo attribuirgli le perfezioni della roccia e del leone (cfr. Summa theologiae I, q. 13).

2. Esempi di analogia nella Scrittura. È proprio il linguaggio della Sacra Scrittura ad offrire, mediante i suoi diversi generi letterari, una notevole ricchezza di analogie e di metafore. Ciò è dovuto, come già segnalato, alla necessità di esprimere con parole umane che si rifanno all’uso di termini legati primariamente alle creature, dei contenuti che riguardano la realtà trascendente di Dio, che la sola ragione non potrebbe raggiungere e che non sono oggetto di esperienza comune. È Dio a comunicare il suo volere ed i suoi progetti mediante immagini che fanno appello all'analogia. Ad Abramo si chiede di capire l'estensione della discendenza di cui è chiamato ad essere padre fecendo, se può, un'analogia con l'immenso numero delle stelle del cielo e della sabbia del mare (cfr. Gen 15,5 e 22,17). Il profeta Geremia, un esempio fra i molti possibili, invitato da Dio a guardare come un vasaio modella e quindi distrugge l'opera delle sue mani, per rifarla poi nuovamente, deve così comprendere, per analogia, il rinnovamento che Dio compirà con la casa di Israele (Ger 18,1-4). Saranno poi i profeti stessi a parlare al popolo mediante numerose immagini ed analogie, servendosi di quanto accade nella natura, nella storia personale o nella storia dei popoli (Ez 31,1-14; Os 1,2-9; Dan 2,31-45).

Gesù impiegherà con frequenza il linguaggio delle “parabole” per descrivere, con immagini efficaci e coerenti, la realtà del Regno, al fine di renderlo comprensibile ai suoi ascoltatori. L’espressione «Il Regno dei Cieli [o di Dio] è simile a…» è di uso ricorrente nei Vangeli (cfr. Mt 13,1-51; Mc 4,1-34; Lc 8,4-18). Questo paragone si fonda su un’analogia di proporzionalità. L'impiego di immagini e di metafore istituisce una similitudine tra una realtà nota ed una ignota, o di più difficile comprensione, favorendo la trasposizione di proprietà o di relazioni dall'immagine più nota a quella meno nota. La parabola viene più spesso rappresentata sotto forma di un racconto la cui forza argomentativa consiste nel presentare la narrazione di un fatto — spesso non accaduto, ma verosimile — che l’ascoltatore può comprendere bene e a partire dal quale è indotto, dalla logica, a trarre certe conclusioni. Le conclusioni tratte, in forza dell’analogia, vengono poi applicate anche in questo caso alla realtà inizialmente ignota per farne comprendere alcuni aspetti fondamentali. Il linguaggio delle metafore e delle parabole, o se si preferisce della “narrazione”, è particolarmente confacente alla persona umana, immersa in una storia ove, al di là di molti elementi cangianti, è sempre possibile identificare una serie di relazioni stabili fra l'uomo e le cose, o degli uomini fra di loro, che possono essere utilizzate come coordinate logiche, cosmologiche ed antropologiche, per trasmettere un certo messaggio. Non sorprende pertanto che la Parola di Dio, che di tale struttura conoscitiva e comunicativa ne ha assunto, insieme all'umanità del Verbo, la storia e la logica, vi ricorra come ad una sorta di “linguaggio umano fondamentale”.

Da un punto di vista ermeneutico, il linguaggio analogico mostra nella Scrittura un utilizzo specifico, riconoscibile ad esempio da quello del linguaggio simbolico, pur largamente presente. Nel primo caso è sempre presente un analogato, mentre nel secondo siamo in presenza di un rimando operato oltre i limiti del linguaggio umano, di un segno che indica una realtà diversa da quella conosciuta, cui dirigersi con categorie nuove, non analoghe. Da un punto di vista più generale, va osservato che il  simbolo resta incompleto senza l'ausilio dell'analogia. Sebbene più flessibile perché libero dal riferimento ad un analogato, esso corre il rischio di rimandare costantemente fuori di sé, verso altri simboli ancora, lasciando sempre sfuggire l'ultimo orizzonte di comprensione.

3. Utilizzi dell'analogia in teologia. Un uso frequente dell'analogia in teologia lo incontriamo in ecclesiologia, a proposito delle “figure della Chiesa” (cfr. ad es. l’impiego fattone dal Magistero nella Lumen gentium, 6). Il mistero della Chiesa, che trae la sua origine dal mistero della volontà salvifica di Dio Padre, rivelata e compiuta mediante le missioni del Figlio e dello Spirito Santo, partecipa della ricchezza e trascendenza di Dio. Per essere espressa, la realtà della Chiesa necessita anch'essa di analogie di proporzionalità intrinseca od estrinseca. Basandosi su un fondamento biblico e sulla predicazione dei Padri della Chiesa, la teologia propone una serie di immagini: la Chiesa è un gregge guidato da un pastore, la vigna del Signore, una casa edificata sulla pietra angolare che è Cristo, il regno, la famiglia e la dimora di Dio, ma soprattutto è il popolo di Dio e il Corpo di Cristo. Di quest'ultima analogia, verrà osservato, si deve però predicare in senso proprio e non solo metaforico (cfr. Lumen gentium, 7; Pio XII, Mystici corporis, 29.6.1943). Il rapporto fra Cristo e la sua Chiesa viene inoltre paragonato a quello dello sposo con la sua sposa, ma anche a quello del capo con il suo corpo. La particolarità di tali immagini analogiche sta nel fatto che nessuna di esse, da sola, risulterebbe adeguata ad esprimere il mistero della Chiesa (visibile ed invisibile; terrena ed eterna; una, eppure presente in molti luoghi; distinta dal suo sposo, eppure una sola cosa con il suo Capo...), mentre tutte insieme possono concorrere a delucidarne caratteri e proprietà.

Esempi classici di applicazioni dell’analogia sono quelli che si riferiscono alla dottrina sui sacramenti: essi vengono paragonati, quali tappe della “vita cristiana”, alle varie fasi della “vita naturale”, sia personale che sociale, secondo un’analogia di proporzionalità propria. Così il Battesimo è come la “nascita” nella vita cristiana, la Confermazione come il “farsi adulto” del battezzato,  l’Eucaristia come il “cibarsi” per il cammino della vita spirituale, e così via (cfr. ad es. Summa theologiae, III, q. 65). Nella vita della grazia poi, il peccato è paragonato alla morte, perché ne vengano intesi gli effetti sull’ anima spirituale, in analogia con quanto la morte determina sul piano corporale. Pur con i limiti propri di qualsiasi paragone, si tratta di utilizzi che hanno senza dubbio favorito la comprensione dei misteri della fede e facilitato la loro trasmissione.

All'interno dei rapporti fra fede e pensiero scientifico, meritano interesse quelle analogie teologiche impiegate lungo la storia per comprendere il rapporto fra la fede e la ragione o, anche, fra la filosofia e la teologia. Nel pensiero medievale si è parlato della filosofia come ancella della teologia. Non di rado presentato in modo riduttivo e strumentale, tale paragone suscitò la reazione ironica di Kant, il quale osservò che l'ancella avrebbe dovuto in realtà precedere la sua signora, come una torcia, per illuminarle la strada. Ma il rapporto fra la fede e la ragione è stato anche visto come una relazione sponsale, sulla scorta di un'immagine già usuale per descrivere il rapporto fra natura e grazia, riservando tuttavia una maggiore dignità alla fede-sposo. La teologia contemporanea parla volentieri dell'analogia mariologica e di quella cristologica. Seguendo la prima analogia, la fede-parola-Spirito viene accolta dalla ragione-ascolto-Maria, generando il frutto della teologia, qui indicata in senso forte come sapienza che partecipa, in forza della Rivelazione, della Sapienza increata che è Cristo. Nella analogia cristologica, la ragione e la fede sono viste in rapporto come lo sono la natura umana e la natura divina nella persona del Verbo di Dio fatto uomo ( Gesù Cristo, rivelazione e incarnazione del Logos). Come l'umanità di Cristo offre espressione visibile e storica alla natura e alla Persona divine, così la filosofia e la ragione offrono alla teologia e alla fede il linguaggio necessario per esprimere, in modo evidentemente limitato ed incompleto, però vero, ciò che si conosce per fede, ed appartiene perciò alla trascendenza di Dio.

Dal punto di vista della storia della teologia e dei suoi rapporti col pensiero scientifico, va menzionato il saggio di Joseph Butler (1692-1752) L'Analogia della Religione, naturale e rivelata, con la costituzione e il corso della natura (1736), nel quale l'autore presenta il corso della natura e della storia umana come una grande analogia per comprendere il linguaggio ed il significato della Rivelazione cristiana. L'opera diverrà poi famosa per il grande influsso che eserciterà sul pensiero di  John Henry Newman (1801-1890), che riserverà al lavoro del vescovo anglicano numerose citazioni in quasi tutti i suoi libri.

4. L’analogia fidei. Un significato diverso, almeno nella sua origine, da quello che interviene nella filosofia aristotelico-tomista, si rinviene nell’espressione analogia fidei o “analogia della fede”. Questa espressione è presente, originariamente, nella lettera ai Romani dell’apostolo Paolo («Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede», Rm 12,6), ove il termine greco analoghía viene impiegato nel senso di “misura”, o “proporzione”. Nella tradizione cattolica questa espressione ha assunto carattere tecnico ad indicare l’adeguatezza e l’armoniosa proporzione tra le verità della fede che non possono entrare in conflitto fra loro. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, la definisce oggi nel modo seguente: «Per “analogia della fede” intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della Rivelazione» (CCC 114). Essa guida nell’interpretazione dell’antico testamento alla luce del nuovo, nella comprensione organica e unitaria di tutto il Magistero, nell’elaborazione della teologia alla luce della tradizione. Essa è fondamentale per una corretta comprensione dello “sviluppo del dogma” che non va inteso come un mutamento del contenuto di verità, ma come un’approfondimento coerente della comprensione della medesima verità rivelata (fonti classiche della comprensione di tale sviluppo in Vincenzo di Lerins, Commonitorium, 53: PL 50, 668; per la teologia, esposizione ragionata in Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, 1845).

La teologia dei riformatori, specie con Karl Barth (1886-1868) ha fatto uso dell’espressione analogia fidei per indicare nella divina rivelazione l’unica fonte di conoscenza di Dio, contrapponendola alla analogia entis intesa come fondamento della via percorsa dalla ragione naturale per una conoscenza non rivelata di Dio che, nella visione luterana, è negata in radice ( Lutero). Rifiutando la possibilità di una conoscenza analogica di Dio partendo dal creato, tali autori cercano di fondare la possibilità e l'intelligibilità della Rivelazione unicamente sul dono della grazia: «I nostri concetti e i nostri termini umani — affema Barth —, in quanto nostri, sono totalmente incapaci di esprimere Dio e il suo mistero; la loro possibilità di essere veri viene loro soltanto dalla rivelazione». Per Barth, di Dio si può dire soltanto ciò che Dio stesso dice di Sé, cioè solo la sua Parola, il Cristo. Va tuttavia osservato che tale prospettiva non risolve in modo convincente il problema di fondare l'intelligibilità e la comprensione della parola rivelata, in quanto, sebbene aiutati dalla grazia, la nostra comprensione di Dio continuerà ad esprimersi con le parole del nostro linguaggio, perché le uniche disponibili. In definitiva, non si potrà mai prescindere dalla necessità dell'analogia dell'essere: «se il Cristo può utilizzare tutte le risorse dell'universo creato per farci conoscere Dio e i costumi divini, è perché la parola creatrice ha preceduto ed è il fondamento della parola rivelatrice, ed è perché l'una e l'altra hanno come principio la stessa Parola interiore di Dio. La rivelazione del Cristo suppone la verità dell'analogia» (R. Latourelle, Teologia della Rivelazione, Assisi 1986, p. 425).

Analogia
Alberto Strumìa
http://www.albertostrumia.it/articoli/interdisciplina/inart004.pdf
http://www.albertostrumia.it/presentazioni/Matematica/Matematica_web.pdf
Fontes:
Concilio Lateranense IV, DH 806; Concilio Vaticano I, DH 3016; Providentissimus Deus, DH 3283; Divino afflante Spiritu, DH 3826; Humani generis, DH 3887; Dei Verbum, 12; Fides et ratio, 19.

lundi 28 mai 2012

Los condenados de la tierra



Franz FANON: Conclusión de Los condenados de la tierra

"Compañeros: hay que decidir desde ahora un cambio de ruta. La gran noche en que estuvimos sumergidos, hay que sacudirla y salir de ella. El nuevo día que ya se apunta debe encontrarnos firmes, alertas y resueltos.
Debemos olvidar los sueños, abandonar nuestras viejas creencias y nuestras amistades de antes. No perdamos el tiempo en estériles letanías o en mimetismos nauseabundos. Dejemos a esa Europa que no deja de hablar del hombre al mismo tiempo que lo asesina dondequiera que lo encuentra, en todas las esquinas de sus propias calles, en todos los rincones del mundo.
Hace siglos que Europa ha detenido el progreso de los demás hombres y los ha sometido a sus designios y a su gloria; hace siglos que, en nombre de una pretendida “aventura espiritual” ahoga a casi toda la humanidad. Véan la ahora oscilar entre la desintegración atómica y la desintegración espiritual.
Y sin embargo, en su interior, en el plano de las realizaciones puede decirse que ha triunfado en todo. Europa ha asumido la dirección del mundo con ardor, con cinismo y con violencia. Y vean cómo se extiende y se multiplica la sombra de sus monumentos. Cada movimiento de Europa ha hecho estallar los límites del espacio y los del pensamiento. Europa ha rechazado toda humildad, toda modestia, pero también toda solicitud, toda ternura. No se ha mostrado parsimoniosa sino con el hombre, mezquina, carnicera, homicida sino con el hombre. Entonces, hermanos ¡cómo no comprender que tenemos algo mejor que hacer que seguir a esa Europa?
Esa Europa que nunca ha dejado de hablar del hombre, que nunca ha dejado de proclamar que sólo le preocupaba el hombre, ahora sabemos con qué sufrimientos ha pagado la humanidad cada una de las victorias de su espíritu.
Compañeros, el juego europeo ha terminado definitivamente, hay que encontrar otra cosa. Podemos hacer cualquier cosa ahora a condición de no imitar a Europa, a condición de no dejarnos obsesionar por el deseo de alcanzar a Europa.
Europa ha adquirido tal velocidad, loca y desordenada, que escapa ahora a todo conductor, a toda razón y va con un vértigo terrible hacia un abismo del que vale más alejarse lo más pronto posible. Es verdad, sin embargo, que necesitamos un modelo, esquemas, ejemplos. Para muchos de nosotros, el modelo europeo es el más exaltante. Pero en las páginas anteriores hemos visto los chascos a que nos conducía esta imitación. Las realizaciones europeas, la técnica europea, el estilo europeo, deben dejar de tentarnos y de desequilibrarnos. Cuando busco al hombre en la técnica y el estilo europeos, veo una sucesión de negaciones del hombre, una avalancha de asesinatos. La condición humana, los proyectos del hombre, la colaboración entre los hombres en tareas que acrecienten la totalidad del hombre son problemas nuevos que exigen verdaderos inventos.
Decidamos no imitar a Europa y orientemos nuestros músculos y nuestros cerebros en una dirección nueva. Tratemos de inventar al hombre total que Europa ha sido incapaz de hacer triunfar.
Hace dos siglos, una antigua colonia europea decidió imitar a Europa. Lo logró hasta tal punto que los Estados Unidos de América se han convertido en un monstruo donde las taras, las enfermedades y la inhumanidad de Europa han alcanzado terribles dimensiones.
Compañeros: ¿No tenemos otra cosa que hacer sino crear una tercera Europa? Occidente ha querido ser una aventura del Espíritu. Y en nombre del Espíritu, del espíritu europeo por supuesto, Europa ha justificado sus crímenes y ha legitimado la esclavitud en la que mantiene a las cuatro quintas partes de la humanidad.
Sí, el espíritu europeo ha tenido singulares fundamentos. Toda la reflexión europea se ha desarrollado en sitios cada vez más desérticos, cada vez más escarpados. Así se adquirió la costumbre de encontrar allí cada vez menos al hombre.
Un diálogo permanente consigo mismo, un narcisismo cada vez más obsceno, no han dejado de preparar el terreno aun cuasi delirio, donde el trabajo cerebral se convierte en sufrimiento, donde las realidades no son ya las del hombre vivo, que trabaja y se fabrica a sí mismo, sino palabras, diversos conjuntos de palabras, las tensiones surgidas de los significados contenidos en las palabras. Ha habido europeos, sin embargo, que han invitado a los trabajadores europeos a romper ese narcisismo y a romper con ese irrealismo.
En general, los trabajadores europeos no han respondido a esas llamadas. Porque los trabajadores también se han creído partícipes en la aventura prodigiosa del Espíritu europeo. Todos los elementos de una solución de los grandes problemas de la humanidad han existido, en distintos momentos, en el pensamiento de Europa. Pero los actos de los hombres europeos no han respondido a la misión que les correspondía y que consistía en pesar violentamente sobre esos elementos, en modificar su aspecto, su ser, en cambiarlos, en llevar, finalmente, el problema del hombre a un nivel incomparablemente superior.
Ahora asistimos a un estancamiento de Europa. Huyamos, compañeros, de ese movimiento inmóvil en que la dialéctica se ha transformado poco a poco en lógica del equilibrio. Hay que reformular el problema del hombre. Hay que reformular el problema de la realidad cerebral, de la masa cerebral de toda la humanidad cuyas conexiones hay que multiplicar, cuyas redes hay que diversificar y cuyos mensajes hay que rehumanizar.
Hermanos, tenemos demasiado trabajo para divertirnos con los juegos de retaguardia. Europa ha hecho lo que tenía que hacer y, en suma, lo ha hecho bien; dejemos de acusarla, pero digámosle firmemente que no debe seguir haciendo tanto ruido. Ya no tenemos que temerla, dejemos, pues, de envidiarla.
El tercer Mundo está ahora frente a Europa como una masa colosal cuyo proyecto debe ser tratar de resolver los problemas a los cuales esa Europa no ha sabido aportar soluciones.
Pero entonces no hay que hablar de rendimientos, de intensificación, de ritmo. No, no se trata de volver a la Naturaleza. Se trata concretamente de no llevar a los hombres por direcciones que los mutilen, de no imponer al cerebro ritmos que rápidamente lo menoscaba y lo perturban. Con el pretexto de alcanzar a Europa no hay que forzar al hombre, que arrancarlo de sí mismo, de su intimidad, no hay que quebrarlo, no hay que matarlo.
No, no queremos alcanzar a nadie. Pero queremos marchar constantemente, de noche y de día, en compañía del hombre, de todos los hombres. Se trata de no alargar la caravana porque entonces cada fila apenas percibe a la que la precede y los hombres que no se reconocen ya, se encuentran cada vez menos, se hablan cada vez menos.
Se trata, para el Tercer Mundo, de reiniciar una historia del hombre que tome en cuenta al mismo tiempo las tesis, algunas veces prodigiosas, sostenidas por Europa, pero también los crímenes de Europa, el más odioso de los cuales habrá sido, en el seno del hombre, el descuartizamiento patológico de sus funciones y la desintegración de su unidad; dentro del marco de una colectividad la ruptura, la estratificación, las tensiones sangrientas alimentadas por las clases; en la inmensa escala de la humanidad, por último, los odios raciales, la esclavitud, la explotación y, sobre todo, el genocidio no sangriento que representa la exclusión de mil quinientos millones de hombres. (Las tres cuartas partes del total en el momento en que esto se escribe). No rindamos, pues, compañeros, un tributo a Europa creando estados, instituciones y sociedades inspirados en ella.
La humanidad espera algo más de nosotros que esa imitación caricaturesca y en general obscena. Si queremos transformar a Africa en una nueva Europa, a América en una nueva Europa, confiemos entonces a los europeos los destinos de nuestros países. Sabrán hacerlo mejor que los mejor dotados de nosotros.
Pero si queremos que la humanidad avance con audacia, si queremos elevarla a un nivel distinto del que ha impuesto Europa, entonces hay que inventar, hay que descubrir. Si queremos responder a la esperanza de nuestros pueblos, no hay que fijarse sólo en Europa.
Además, si queremos responder a la esperanza en los europeos, no hay que reflejar una imagen, aun ideal, de sus sociedad y de su pensamiento, por los que sienten de cuando en cuando una inmensa náusea. Por Europa, por nosotros mismos y por la humanidad, compañeros, hay que cambiar de piel, desarrollar un pensamiento nuevo, tratar de crear un hombre nuevo". (Páginas 287-292)

Franz FANON

Esta Conclusión del libro, escrito en francés de Franz FANON: Les damnés de la terre, François Maspero, París, 1961, está tomada de la edición en español Los condenados de la tierra, FONDO DE CULTURA ECONOMICA, México, 1983 (es la séptima reimpresión de la segunda edición en español, la primera es de 1963), 293 páginas. La traducción al español es de Julieta CAMPOS.

dimanche 20 mai 2012

Témoignage de vie et conversion


Je suis né en 1945, à Rio de Janeiro. Mon père s’appelait Amynthas. Il était né à la fin de siècle XIXème et il y avait une différence d’âge de presque vingt ans avec ma mère. Il est décédé quand j’étais encore enfant. Ma mère, Maria José, était d’une famille traditionnelle de l’État de Minas Gerais. Mon arrière-grand-père a été un républicain historique. Aujourd’hui nous sommes une famille de politiques et de journalistes. 



Mon père était socialiste et il a été invité pour être candidat au conseil municipal et aussi comme député par le Parti Socialiste Brésilien. Il était journaliste et il a travaillé dans le Journal du Brésil et il a appris le Droit alors qu’il avait plus de quarante ans. Dans les dernières années de sa vie il a été industriel. Il a acheté des gisement de sable de monazite à Barre d’Itabapoana, dans l’État de l’Espirito Santo. Ce sable fournit le phosphate naturel de cérium, utilisé dans les réacteurs nucléaires. Mon père exportait la monazite pour les États-Unis.

Mais, en 1953, le président Vargas a nationalisé le sous-sol brésilien et mon père a perdu le droit de l’explorer. Etant socialiste, il n’a jamais critiqué le président qui était nationaliste. Un ans après, il est mort de maladie cardiaque. Une chose qui m’a beaucoup marqué a été le traumatisme de la guerre. La peur de la guerre a incité mon père à me placer dans une école pour apprendre à utiliser mes bras. Je devait être ambidextre, parce que dans les guerres, les personnes les plus touchées sont les enfants, et la partie du corps la première atteinte ce sont les bras. Aujourd’hui je suis ambidextre.

Après la mort de mon père, pendant mon adolescence, je vivais avec un oncle autrichien : Walter. Ainsi, j’ai eu une formation de tradition européenne et de plus j’étais un rat de bibliothèque. À quatorze ans j’avais lu Platon, Aristote, Schopenhauer, Nietzsche, Spengler, Comte et les positivistes brésiliens. En 1961, j’étais président de l’association des lycéens. A cette époque, le Brésil vivait une situation particulier. Le vice-président Goulart était en Chine. Le président de la République, Mr. Quadros avait démissionné, et le gouverneur Brizola, de l’État de Rio Grande do Sul, a initié une campagne nationale grâce à laquelle Goulart put occuper la présidence du pays. J’ai commencé mon activité politique à ce moment-là. J’étais le président du Centre Académique du lycée. J’ai fait des discours dans la rue, sur des caisses, impliquant toute l’école dans les mobilisations pour soutenir le retour du vice-président Goulart.

En 1966, je suis entré à l’Université Catholique de Rio de Janeiro. Jusque-là j’avais une vie religieuse relative, spirituellement peu définie. Quand je suis entré à l’université, je me suis déclaré athée et j’ai remplacé ma religiosité par une activité politique qui a guidé ma vie dans les vingt années suivantes.

Journaliste et révolutionnaire

Alors j’ai milité à gauche. J’ai commencé à lire les auteurs classiques du marxisme, et j’ai été élu à la direction du Centre Académique de Sciences Sociales. J’ai participé à toutes les mobilisations estudiantines. J’ai assisté au meurtre du premier étudiant au cours d’une manifestation par le gouvernement militaire. Ce décès a produit une mobilisation incroyable, qui a regroupé plus de cent mille personnes à Rio de Janeiro.

A cette époque je me suis lié au Mouvement Nationaliste Révolutionnaire, qui était dirigé de l’extérieur par l’ex-gouverneur Brizola. À partir de la fin de 1966, j’ai commencé à travailler comme journaliste à la revue Manchete. J’ai commencé à mener une double vie: j’étais journaliste, mais aussi militant politique clandestin. J’ai reçu une instruction militaire clandestine par des camarades formés à Cuba. Je me suis spécialisé dans la fabrication de bombes et de mines antichar.

En 1969, le Brésil vivait le moment le plus dur du gouvernement militaire. Les garanties et les droits démocratiques étaient suspendus, la presse était censurée et la violence exercée contre toute l’opposition. Beaucoup de camarades ont été arrêtés, et plusieurs torturés à mort. J’ai été destitué de la revue Manchete et l’Université Catholique a prononcé mon exclusion. La situation était insupportable et j’ai reçu l’ordre du Mouvement Nationaliste Révolutionnaire de sortir du pays. Ainsi j’ai commencé mon premier exil.

En 1970, j’ai traversé l’Argentine et je suis arrivé au Chili où j’ai reçu à très bon accueil. Je suis entré à l’Université à Santiago et je me suis lié d’amitié avec beaucoup de brésiliens exilés, parmi lesquels Mario Pedrosa, intellectuel trotskiste connu internationalement. M. Pedrosa a accompagné toute ma vie d’exilé et j’ai fini par embrasser le trotskisme, un des maillons le plus actif du communisme international. Nous avons établi une cellule d’action à l’étranger, le Groupe « Ponto de Partida », qui avait pour but de construire au Brésil un Parti Socialiste. Je suis devenu un des directeurs du trotskisme de niveau international.

J’ai vécu et agi politiquement au Chili pendant trois ans. Parmi mes activités, j’ai été ouvrier dans une usine métallurgique. J’ai été soudeur. En juin 1973 il a y eu la première tentative de coup d’Etat pour renverser le président Salvador Allende. Avec d’autres camarades nous avons transformé l’usine en usine d’armements légers et nous avons commencé à produire des bombes. Notre intention était de préparer l’usine pour une confrontation prolongée avec les secteurs militaires, qui cherchaient renverser le gouvernement socialiste. Cette première tentative a échoué. Mais nous savions qu’il en viendrait une autre. Tout le monde le savait. Donc, j’ai changé de maison, parce qu’elle était très connue comme abritant des guérilleros brésiliens, argentins et uruguayens.

Ma compagne et moi avons vécu dans un hôtel à plus ou moins six quartier du palais du gouvernement. J’étais alors dirigeant du Groupe « Ponto de Partida », de l’Internationale trotskiste et militant du Mouvement de la Gauche Révolutionnaire, parti d’extrême gauche chilien.

De tranchée en tranchée

Le 11 septembre 1973, je me suis réveillé tard parce j’étais allé à une réunion politique qui s’était terminé à l’aube. Ainsi, je m’ai soulevé et j’ai lié la radio. Il étaient 10h du matin. A la radio, le général Pinochet exigeait que le président Salvador Allende démissionne et se livre aux militaires. En cas de refus, le palais serait bombardé dans 1/4 d’heure.

Je n’y crois pas. Bombarder le palais signifiait bombarder le centre-ville. Mais Pinochet a fait ce qu’il promettait. Quinze minutes après, sont apparus dans l’horizon quatre petits points, qui ont grandi, et ensuite les avions se s’ont jetés sur le palais. Ils ont réussi de telle suite que le palais s’est embrasé de intérieur et les murs du palais sont restés intacts. Je n’avait jamais rien vu de semblable. En quelques minutes le ciel a été couvert pour d’une fumée noire et toute la ville fut objet de fusillades.

Ce jour là je ne suis pas sorti de l’hôtel. Il pleuvait des balles. À côté de l’hôtel, y avait un siège du Parti Socialiste. De l'intérieur du bâtiment une mitrailleuse et un mortier tiraient continuellement. Le siège était entouré par des militaires retranchés. Un hélicoptère est apparu, a volé basse, s’est arrêté en face du bâtiment et a ouvert feu contre les résistants. Ils ont fait cela plusieurs fois pendant dans la journée. J’ai eu l’impression que les balles allaient déchirer les murs de l'hôtel. J’ai reçu un appel téléphonique de la base de l'armée de l'air. Ma compagne me dit en pleurant :

-- Je suis prisonnière, tu dois venir me libérer.

La terreur m’a envahi : si elle n’était pas libéré ? Je ne la reverrais jamais. Le jour suivant, la première chose que j’ai faite, dans une attitude totalement insensée, fut de me diriger au Quartier Général de l’Armée. J’y suis arrivé à onze heures pour parler avec l’assistant de presse. La réponse fut l’emprisonnement.

-- Tu es brésilien? Tu es arrêté.

Ils m’ont laissé dans la cour, devant le mur toute la soirée, surveillé par un soldat. C’était le second jour du coup d’Etat, et le QG était bombardé au mortier. Les bombes tombaient à l’intérieur de la cour. Des soldats couraient de tous les côtés. Ils ont remplacé le soldat qui me surveillait et profitant du la confusion et j’ai donné un ordre :

-- J’ai pris immédiatement au cinquième étage, à l’assistant de presse.

Le soldat malgré ses réticences, et devant mon attitude intransigeante, il a fini par céder. Quand je suis arrivé au cinquième étage, j’ai demandé à l’assistant de presse de me fournir une jeep de l’armée, parce que je devais aller à la base de l'armée de l'air pour libérer un amie prisonnière par erreur.

-- C’est impossible. Nous sommes attaqués. Reviens ici demain, peut-être… 
J’ai accepté et le soldat, encore confus, m’a laissé sortir du QG. Parvenir à l’hôtel était presque impossible. Il y avait des tranchées tout le long de l’avenue et au coin des rues. A chaque point de passage il y avait des tranchées militaires, et en face des tranchées de la résistance. Donc, j’exhibais ma carte de presse et criait :

-- Je suis journaliste. Je courais et sautais de tranchée à tranchée.

A chaque fois, je répète que je vais tout droit à mon hôtel et j’entendais les gens dire :

-- Tu vas te faire tuer.

Mais j'ai pris la décision de continuer. Quand j’étais arrivé à autre tranchée, je criais à nouveau :

-- Je suis journaliste...

Et ainsi la nuit venue j’étais rentré à l’hôtel. Le jour suivant j’ai décidé d’aller directement à la base de l'armée de l'air, dans un quartier éloigné du centre-ville. J’ai passé toute la journée à essayer de trouver quelque transport, mais il n’y en avait plus. Il était interdit de se rassembler, de traverser d’une rue à l’autre. Tout était fermé. Le soir est passé un taxi. Je me suis lancé devant lui et j’ai crié pour qu’il s’arrête. Il s’est arrêté. Le chauffeur m’a dit qu’il rentrait chez lui, assez loin, à Valparaiso. Audacieusement, je lui dis d’un ton sévère :

-- Si tu ne m’emméne pas à la base de l'armée de l'air tu es arrêté. Il m’a regardé et demandé:

-- Monsieur, vous travaillez à l’ambassade brésilienne?

Je savais que le gouvernement brésilien soutenait le coup militaire, donc je n’hésitais pas :

-- Oui, j’y travaille...

Devant le mur

Il m’a alors conduit jusqu’à la base aérienne. Quand nous sommes arrivé la base aérienne était bombardé. Le taxi est passé par la barrière principale, nous entendions les mortiers bourdonnant au dessus de nos têtes et en explosant. Rapidement, les militaires nous ont entourés. Il tombe une bruine serrée. Ils m’ont donné l’ordre de descendre de la voiture. De la pelouse où je me tenais, je voyais des soldats armés avec des fusils et des mitrailleuses. Ils m’ont encore ordonné de retirer mes vêtements, tous mes vêtements.

Sous la bruine j’ai enlevé mes vêtements et j’ai plongé dans une image ancestrale, que je n’oublierai pas : celle du juif nu, massacré, prêt à être fusillé. Un officier sort d’une des guérites et demande mon passeport. J’explique que je suis venu chercher mon amie. Il examine mon passeport, qui est contrefait, le regarde rapidement et il me retourne. Ordonne d’appeler ma compagne. Elle vient en pleurant. Nous marchons vers le taxi, mais le conducteur, qui lui aussi pleurait de colère, d’avoir été trompé, refus de nous reprendre.

Je me dirige vers l’officier et dis :

-- Cet homme ne veut pas nous prendre.

L’officier répond :

-- Vous devez le prendre, ils ne peuvent pas rester ici.

Nous sortons donc la base aérienne, sous les explosions et le vacarme des mitrailleuses. Ma compagne me raconte que le 11 septembre au matin, l’usine où elle travaillait a résisté jusqu’à l’épuisement de toutes les munitions. Alors, les militaires de l’Aéronautique, qui avaient entouré l’usine, ont envahi les installations, ont arrêté tout le monde et ils les ont fusillés devant leurs camarades. Ma compagne parce qu’elle était blonde et brésilienne fut épargnée. Après tout, ils ne savaient pas de qui se traitait. A été pris pour la base aérienne et arrêtée. Elle, néanmoins, a informé que c’était accompagnateur d’un journaliste brésilien, correspondant de l’agence Dispatch News Service, de Washington. Elle a eu, alors, le droit de donner un téléphone, celui que j’ai fait attention dans l’hôtel.

Dans l’hôtel l’environnement était chahuteur. La télévision présentait une liste de personnes cherchées, exhortant la population à dénoncer tous les étrangers. Les militaires avaient donné deux jours pour tous les étrangers se livrer. Moi, logiquement, je ne m’a pas livré, ni cette était ma perspective. Moi et mon amie savions que nous pouvions être dénoncés, mais n’avions pas choix. Alors nous avons passé cette nuit en déchirant et en jouant par la fenêtre des textes et des manuels de guérilla. Quand a échoué l’aube nous avions été dénoncés par le propriétaire de l’hôtel.

Les militaires ont taloché la porte du petit appartement, presque l’ont enfoncée. J’ai ouvrit et immédiatement ai été massacré à des coups de crosse. Cet a été tout très rapide. À chaque coup de crosse je m’évanouissais et quand je tournais à moi était frappé à nouveau. Ils ont pris tout ce qui pouvaient prendre, vêtements, machine d’écrire, livres. Prisonniers, nous avons été obligés de marcher par les rues, avec les mains dans la nuque, dans trouve étrange défilé.

Après nous avons joués dans un autobus. Ils ont commencé alors à maltraiter mon amie, repoussant et en foulant dans elle. J’ai crié :

-- Ils ne fassent pas cela, elle est enceinte.

C’était mensonge, mais ils se sont arrêtés. Nous ne savions pas, mais nous avions été pris pour le Régiment de Tacna, un quart connus par sa violence. C’était une des places où politiques résistants étaient fusillés. Dans là nous avons lâchés dans une espèce de cuisine. Je suis tombé dans le sol et malgré de très blessé j’ai eu une sensation de soulagement. Le sol de carreau était froid et m’a transmis une sensation agréable. Heures ensuite, est arrivé un colonel et nous avons informées :

-- Ils vous vont être fusillés dans le début de l’après-midi.

Les heures ont passé dans un regard. Fatigués, nous étions blessés, idiots. Alors, dans le commencement de l’après-midi nous avons été pris. Nous étions un huit personnes, dans file indienne, marchants pour le mur gros. Soudain, un lieutenant m’appelle. J’étais dans la file, marche, et il m’appelle. Je sors de la file, fais un signe pour mon amie m’accompagner. Et le lieutenant me demande :

-- Tu a été arrêté avec beaucoup de matériel subversif, est vérité ?

Je dis que c’est vérité, mais que je suis journaliste, et que tout avait été acheté. Il alors dit qu’aussi avait beaucoup de ces livres dans chez lui. Je sens une empathie profonde avec ce jeune. J’était en avant d’un officier de gauche. Seulement nous le savions. Nous avons eu complices des camarades qui tournaient se rêves brûler dans les flammes du palais « La Moneda ». Pendant ce temps, les trois nous avons entendu à derrière les coups qui ont tué les autres camarades.

Dieu est mort, Marx est mort …

Alors nous sommes ordonnés pour interrogatoire. Je combine avec mon amie que seulement je parlerai pour que n’entrer pas en contradiction. J’explique à les militaires qui j’étudiais à l’Université du Chili, qui aimai ce pays et que jamais ne m’a passé pas à tête sortir du Chili.

Ce a été un interrogatoire léger. Je dis que je suis correspondant étranger et ils nous ont livré des sauf-conduits pour lesquels nous avons eu exempte transit. Nous sortons les deux seulement avec le vêtement du corps. Nous marchons jusqu’à ce que nous découvrons un hôtel près du « Plaza de Armas », où déjà se trouvaient plusieurs exilés des Brésiliens.

De l’hôtel j’ai téléphoné pour New York, pour un grand ami, Peter, qui à l’époque appartenait au Socialist Workers Party et que plus tard est entré pour le Parti Démocrate. Je ne peut pas parler avec lui, mais une autre amie qui travaillait dans le consulat brésilien à New York a entré en contact lui. Elle lui explique la situation et demande pour que s’ordonnent deux passages d’avion Santiago/Buenos Aires et l’argent voyait ordre de paiement. Nous restons dans l’hôtel. L’argent est arrivé. Nous achetons des vêtements. Quand les aéroports se sont ouverts sont arrivés aussi les passages.

Ainsi, un mois après le coup, nous voyageons à Buenos Aires. Dans celui-là trente jours nous aidons à deux dizaines de ouvriers chiliens à laisser le pays, traversant à frontière dans direction à l’Argentine. Ils ont été marqués et ils n’avaient pas de conditions de se maintenir dans la clandestinité.

À Buenos Aires j’ai tourné à mes activités politiques. J’ai organisé un groupe socialiste avec la finalité d’agir politiquement à des universités de Sao Paulo et dans les usines du ABC de Sao Paulo, principalement dans le secteur automobile. En 1974 j’entre clandestinement au Brésil.

Par suggestion de mon avocat j’abandonne de vivre à Rio de Janeiro et je m’installe à Sao Paulo. Je régularise ma documentation et travaille à nouveau comme journaliste. Notre organisation politique grandit dans le moyen estudiantin et syndical, mais en 1977 est frappé en les vertus de répression du gouvernement militaire. Je voyageais, agissant en Espagne et dans au Portugal, et en avant de telle situation je reste tout cette année en Europe. Ce voyage à l’Europe a commencé à changer ma tête.

Nous croyions que la révolution seulement pourrait être victorieuse s’arrivait aussi dans les pays développés. Mais n’a pas été cela ce que j’ai vu en Europe à la fin des années 70. Malgré de la chute des dictatures en Grèce, en Espagne et Portugal, l’Europe commençait à vivre l’ascension du néolibéralisme. La classe ouvrière et les syndicats ne combattaient pas pour le socialisme, ils se mobilisaient par meilleures conditions de vie. Je n’étais pas contre ces désirs, mais j’ai commencé à voir que le monde, à petite par heure, ne marchait pas pour le socialisme. Cela m’a amené à constater qu’à proposition de construction d’un parti marxiste, léniniste, au Brésil c’était une utopie, sans base dans la réalité.

Ainsi, en 1978, quand je tourne pour le Brésil, je propose à mes camarades la formation d’un Mouvement de Convergence Socialiste, qu’il peut réunir le socialisme historique dans la direction à la formation d’un Parti Socialiste de type européen. Mais, malheureusement, en 1978 nous vivons de nouvelles prisons. Des journalistes et des éditeurs du journal Versus, du quel j’était directeur de rédaction, sont arrêtés. Je suis accusé par les services d’intelligence d’organiser la formation du Parti Socialiste. Sous ordre de prison décrétée et cherchée par les services de sécurité, je suis obligé d’entrer pour la clandestinité.

Et je suis clandestin presque une année. Ensuite, à travers accord de mes avocats avec la Justice Militaire, je suis pris à jugement dans la 2a. Auditoire de la Justice Militaire à Sao Paulo. Le juge, un colonel de l’Armée, donne le droit de exposer ma défense, et je fais valoir que jamais j’ai commis crime contre la personne, ni contre la propriété, c’est-à-dire, je n’ai pas tué, ni ai assailli de banques. Mon crime était avoir combattu pour une société juste, qui rendait possible des droits égaux leurs fils.

Après parler pendant deux heures, le tribunal a laissé dans suspendu toutes les accusations contre moi. Mais pourquoi ? Parce que ils savaient que l’amnistie serait sanctionnée à tout moment. Ainsi, le 11 septembre 1979, par jugement du Conseil Permanent de Justice est jugé éteinte ma punition sur base de la Loi d’Amnistie.

La profonde crise existentiel dont j’ai vécu à partir 1977 n’était pas exclusivité mien. Des intellectuels européens, qui ont participé du les grandes mobilisations du mai français à 1968, vivaient des angoisses semblables. Un d’eux est arrivé à écrire un livre qui avait comme titre « Dieu est mort, Marx est mort et je ne me sens pas beaucoup bien ». C’était ce que beaucoup de nous, une partie de la direction de la gauche mondiale, nous sentions. Néanmoins, de retour au Brésil, je fonde la Convergence Socialiste et dans les trois années suivantes je travaille joint avec mes camarades trotskistes dans la formation du Parti des Travailleurs. En 1979, je suis un chiffon existentiel. Je ne crois plus dans les prophéties du communisme. Je laisse la Convergence Socialiste. Je fais une autocritique publique du marxisme et du léninisme Seul, sans amis, je suis regardé par les anciens camarades comme un renégat.

La fin d’un héritage

Une année ensuite, précisément le 22 septembre 1980 arrive une nouveauté dans ma vie : je connais ma future femme. Ce jour ce avait été menacé de décès par la Commande de Chasse au Communistes (CCC). C’était un samedi et le Syndicat des Journalistes de l’État de Sao Paulo a réalisé un acte de mécontentement aux personnes menacées par le CCC. Après l’acte dans le syndicat, je vais à un bal populaire. Là j’ai connu un étudiant d’Administration, Naira, qui venait d’une réunion du juste créé du Partido dos Trabalhadores.

Quatre ans ensuite je me marierais avec elle. Nous commençons les deux, joints, mais non dans le même rythme une longue randonnée dans direction au christianisme. Les valeurs stables de Naira et de leur famille italienne m’ont satisfaite beaucoup. Je me penche sur prudemment dans direction au Catholicisme. J’assiste à quelques messes et jusqu’à je m’émeus en avant de quelques sermons, mais je sens que ce n’est pas là que mes questionnements seront répondus.

Alors me tourne au souvenir le judaïsme et les leçons de religion dans le Collège Hébreu Brésilien, à Rio de Janeiro. Commencement à d’étudier avec ténacité la mystique judaïque. Déjà marié avec Naira, joints nous étudions un texte qui sera fondamental dans ma conversion : " Le Discours de la Servitude Volontaire ", écrit dans le siècle XVI pour Etienne La Boétie, penseur qui a influencé le mouvement libertaire en France.

Mais, aussi, je soulève dans les aubes et prie dans hébreu.

--Baruch atá Adonai, Elohénu Méleh haolam… Benedict sois-tu L’Eternel, notre Dieu, roi de l’univers...

Je récite les noms de Dieu et demande à Lui qu’il me montre sa volonté, qui me donne une vie nouvelle. Jours ensuite, travaillait dans une agence de publicité dans Sao Bernardo do Campo, quand entre dans la salle un jeune publicitaire. Son nom est Douglas. Pasteur, cet homme se rendra un grand ami. Très rapidement il me a enseigné deux choses. Premier, que seulement une personne pouvait remplir mon vide : Jésus, le Messie. Cela, si je l’acceptais comme mien Seigneur et Sauveur. Et en second, que prier est différent de réciter les noms de Dieu dans hébreu. C’est parler avec Dieu à travers de notre seul médiateur, Jésus Christ. Il ne peut pas sembler mais celui-là ont été des mots durs. Jésus pour moi est un prophète intransigeant, lequel accusait les prêtres juifs de soit hypocrites et de tombes blanches. Avant ma conversion, Jésus me donnait de la peur, une peur terrible. Dans ce temps, j’ai gagné une Bible, mais seulement lisait l’Ancien Testament. Mais dans une tard de pluie très forte, là dans la couverture de l’immeuble où fonctionnait l’agence de publicité, j’ai accepté à Jésus Christ comme Seigneur de ma vie. De genoux dans le sol froid de la salle, j’ai reconnu mon pêcheur et mon éloignement de la volonté de Dieu. J’ai imploré à Dieu le pardon et j’ai été justifié par le sacrifice délégué de Jésus Christ. La fin de l’année s’approchait et dans Noël j’ai commencé à lire l’Évangile de Jean.


Dans paix vous serez conduits…

Presque au même temps dans que j’ai vécu ces événements, Dieu m’a donné mien premier ministère : parler à mes anciens camarades, hommes politiques et intellectuels de gauche, sur le pouvoir transformateur de la croix. À début ce a été difficile, donc a commencé à courir entre la gauche l’observation dont j’avais affolé. Mais avec le passage des mois et après les années ont commencé à voir que quelque chose profond était arrivé dans ma vie.

Ils tournent que je n’avais pas transformé dans un réactionnaire, mais qu’au contraire soulevait avec conscience le drapeau d’une éthique chrétienne d’engagement social, inquiétée à développer la tâche historique de transformer le Brésil dans un pays où tous aient accès à des conditions dignes de vie et à la justice sociale.

Aujourd’hui, grâce à la miséricorde de Dieu, je suis un ministre de Dieu : je prêche, j’enseigne et j’écris. Par tout cela, je considère Isaïe 55 le livre-texte de ma vie.

Isaïe 55 est la traduction dont j’ai appris quand enfant, dont j’ai vécu comme homme éloigné de Dieu, dont je suis par l’amour de Christ. C’est le manuscrit de ma vie, la livraison du pardon et la certitude du paradis.

vendredi 18 mai 2012

A Trindade e o argumento quântico

A construção dessa analogia, que trabalhou com a teoria paradoxal das partículas de onda, contou com a participação do professor Dr. Mário Olímpio de Menezes, físico do Instituto de Pesquisas Energéticas e Nucleares, IPEN-CNEN/SP. A analogia e suas projeções teológicas, porém, são minhas. 


A controvérsia sobre o Filioque introduziu um conceito grego no Credo e o Deus dos filósofos ontológicos tomou o lugar do Deus Eterno hebraico-cristão. A essência do Pai, do Filho e do Espírito Santo recebeu qualificações positivas, tornou-se objeto de uma teologia natural, relativa a Deus em geral, que reapareceu em Descartes, Leibniz e com os deístas do século XVIII, mas não é o Eterno triúno que os pais da igreja proclamaram.[1]


Ao concentrar esforços na análise da pessoa e ação do Espírito, o pensamento cristão oriental viu uma debilidade e um enfraquecimento da Trindade na teologia ocidental, já que tendemos a realçar a unidade do Eterno, tanto na teologia, quanto na realidade de nossa fé. Segundo o pensamento teológico oriental, perdemos com isso a percepção do lado trágico na existência e na história. Para a teologia cristã oriental, o Espírito significa o Eterno no homem e o Eterno presente no mundo e exatamente por isso liberdade. Dessa maneira, a teologia cristã oriental vê o Espírito como aquele que cumpre o que o Eterno diz, que distingue, une e personifica, aquele que é a atividade criadora do ser, revelador e, ao mesmo tempo, ouvinte e intérprete, em nós, do Cristo. 

Tal postura leva a uma teologia que vê uma complementaridade entre pessoa e comunidade, religião e fé, pensar e agir. Fé e cristianismo não devem ser pensadas como relações de oposição, mas como correlação e encarnação. Da mesma maneira, por ser o Espírito a liberdade na pessoa e na comunidade, ficam de fora do compromisso cristão o individualismo e o coletivismo, substituídos pela busca da justiça social.

Ao privilegiar teologicamente a questão da liberdade da vida da pessoa -- a existência -- e da coletividade -- a historicidade humana --, o pensamento oriental trouxe novas perspectivas para a teologia ocidental. Por isso, o teólogo deve subordinar suas reflexões da unidade/diversidade trinitária aos dados revelados na Palavra de Deus, de forma semelhante ao físico ao formular a teoria paradoxal das partículas de ondas.

A teologia paradoxal das partículas de onda

Na física, como o todo, intensidade (I) é a razão entre potência, dado em watts (W), ou joules por segundo (j/s) -- o joule é medida de energia -- e área, dado em metros quadrados (m2), ou seja, watts por metro quadrado (w/m2). Então a fórmula da intensidade sonora é: I = E / Δt.A.


As partículas apresentam características que as fazem serem diferentes umas das outras. Essas características são as propriedades delas que servem para diferenciá-las e assim formar as famílias.

A primeira diferença notada entre as partículas foi à carga elétrica. A carga elétrica possui características muito interessantes, como possuir sinais contrários (+ e -), poder ser somada (uma carga positiva neutraliza a ação de uma carga negativa, ou seja, + com -, dá zero), é sempre conservada -- não se pode criar carga negativa sem criar uma positiva, ou seja, a quantidade de cargas de um sistema fechado é sempre a mesma. Partículas que possuem carga elétrica estão sujeitas a interação eletromagnética, formando assim uma família de partículas que sofrem essa interação. Esse é o caso dos prótons e dos elétrons.

Mas, não as únicas partículas que possuem carga, existem outras como o Múon, o Tau, o Sigma mais, o Delta mais e o Delta dois mais. A carga elétrica é uma propriedade muito importante neste estudo. É ela que vai indicar se a partícula sofre interação eletromagnética ou não.
Partículas com carga elétrica líquida nula, como o caso do nêutron, não são influenciadas pela interação elétrica (Coulumbiana, ou seja, atração e repulsão elétricas), dando indícios que existem outro tipo de interação para denunciar a presença dessas partículas. A carga elétrica é dada em função da carga elétrica do elétron, que é a menor carga detectada isolada atualmente e, por isso, recebe o status de elementar. Assim, o elétron e o próton têm cargas iguais a 1, porém de sinais contrários. O próton é positivo e o elétron negativo. Por esse motivo, falamos que a carga elétrica é quantizada.

Uma propriedade quântica é o emaranhamento. Duas partículas emaranhadas possuem uma relação especial tal que, se medirmos uma delas, a outra será colapsada imediatamente! Não importa o quão distante elas estejam entre si. Por exemplo, vamos supor que duas moedas estejam emaranhadas, uma aqui na Terra e outra na Lua. Ambas estão girando sob uma mesa. Em determinado momento, uma pessoa bate na moeda e obtém ´cara´ como resultado. A moeda na lua, instantaneamente, colapsa em seu estado complementar, isto é, em ´coroa´. No nível quântico uma partícula pode estar lendo o ´0´, como o ´1´ ao mesmo tempo. Essa superposição de estados é uma propriedade quântica. Um ponto importante é que, para que duas partículas se emaranhem, é preciso que elas tenham tido um contato físico prévio. 

Pirâmide triagonal, 
quando o átomo central possui par de elétrons emparelhados disponíveis 


Os físicos quânticos concordam entre si que as entidades subatômicas são uma mistura de propriedades de ondas (W), de propriedades de partículas (P), e de propriedades quânticas (h). Os elétrons de alta velocidade, ao serem atirados através de um filme metálico, ou de cristal de níquel. como raios catódicos rápidos ou até mesmo como raios-B, difratam como raios-X. Em princípio, o raio-B é igual à luz solar empregada numa experiência de dupla ranhura ou biprísmica. A difração é um critério de comportamento semelhante a raios nas substâncias: toda a teoria clássica das ondas baseia-se nisso. Além desse comportamento, porém, há muito tempo que os elétrons vêm sendo considerados partículas com carga elétrica. Um campo magnético transversal defletirá um feixe de elétrons e seu padrão de difração. Somente as partículas comportam-se dessa maneira: toda a teoria eletromagnética depende disso. Para explicar todas as evidências, os elétrons devem ser tanto partículas quanto ondulatórios. Um elétron é um Pwh.

Assim, a partir da teologia paradoxal das partículas de onda, tomando em conta o argumento quântico, podemos dizer, numa construção analógica, que o Eterno trino é Pfe.

Donde, a questão da pessoa e de sua comunhão com a irredutibilidade do Eterno tem expressão na teologia paradoxal das partículas de onda onde emaranhamento é comunhão trinitária e adoção humana, conforme a oração de Efésios 1.3-14, onde é dito que o Pai determinou que seremos para Ele, “filhos de adoção por Jesus Cristo" (Ef 1.5). E que, aqueles que são justificados por Cristo, libertos da escravidão do pecado, não receberam "um espírito de servidão”, “para permanecerem ainda no temor”, mas receberam um "espírito de adoção" (Rom.8:15). Esta adoção por Deus, esta filiação, realiza-se na unidade com o Filho, já que "o mesmo Espírito testifica com o nosso espírito que somos filhos de Deus. E se nós somos filhos, somos logo herdeiros também, herdeiros de Deus e co-herdeiros de Cristo; se é certo que com Ele padecemos, também com Ele seremos glorificados”. (Rm 8.16-17).

Tal compreensão é referendada por Irineu, Atanásio e outros pais da igreja, ao afirmarem que Cristo, imagem do Pai, é Filho pela Sua natureza divina e pela Sua filiação, ao passo que pessoas são filhos de Deus, à imagem de Cristo, por adoção.

Ainda na carta aos Efésios, Paulo retoma o tema num contexto eclesiológico (Ef 2.19-22) e diz que enquanto membros da igreja e filhos adotivos de Deus, os fiéis não são mais "estrangeiros nem forasteiros, mas concidadãos dos santos e da família de Deus" (Ef 2.19). Na mesma carta, Paulo dobra os joelhos na presença "do Pai... do qual toda família nos Céus e na Terra toma o Seu nome" (Ef. 3:14-15).

A idéia de adoção/emaranhamento dá conteúdo ao conceito de pessoa em seu encontro com a irredutibilidade do Eterno e está presente na teologia de João, que retoma e amplia o tema da filiação. Assim, na oração de Cristo antes da paixão, no evangelho de João lemos:.."Como Tu, ó Pai estás em Mim e Eu em Ti, que também eles sejam um em Nós.." (Jo 17.21; cf. 17.11).

Assim, sintetiza Lossky a relação entre pessoa e a obra do Espírito.

A obra do Espírito Santo refere-se às pessoas, dirigindo-se a cada uma delas. O Espírito Santo comunica na Igreja às hipóstases humanas, a plenitude da divindade segundo um modo único, ‘pessoal’, apropriado para cada homem enquanto pessoa criada à imagem de Deus... Cristo torna-se a imagem única apropriada à natureza comum da humanidade.; o Espírito Santo confere a cada pessoa criada à imagem de Deus a possibilidade de efetivar a semelhança na natureza comum. Um empresta sua hipóstase à natureza, a outra dá sua divindade às pessoas. Assim, a obra de Cristo unifica, a obra do Espírito Santo, diversifica: a unidade de natureza se realiza nas pessoas; quanto às pessoas, elas não podem alcançar sua perfeição, tornar-se plenamente pessoas, senão na unidade de natureza, deixando de ser ‘indivíduos’ que vivem para si mesmos, que têm natureza e vontade próprias, ‘individuais’. A obra de Cristo e do Espírito Santo, portanto, são inseparáveis: Cristo cria a unidade do seu corpo místico através do Espírito Santo e o Espírito Santo se comunica às pessoas humanas através de Cristo”.[2]

O Espírito no seu advento manifesta a natureza comum da Trindade, mas cancela-se enquanto pessoa, já que nele a vontade do Eterno não é mais externa. O Espírito está escondido pelo dom, para que o dom que ele comunica seja plenamente nosso. Ele nos dá a graça desde o interior, manifestando-se em nossa própria pessoa, até que a nossa vontade humana permaneça de acordo coma vontade divina e coopere com ela na obtenção da graça, fazendo-a nossa.

Assim, para Lossky, o Espírito é a unção que repousa sobre Cristo e sobre todos os cristãos que reinarão com ele no século futuro. Então essa pessoa desconhecida, que não tem sua imagem numa outra hipóstase, se manifestará nas pessoas plenas de Cristo: a imagem do Espírito será a multidão dos santos. 

Citações
[1] Vladimir Lossky, Théologie Négative et Connaissance de Dieu chez Maître Eckhart, Paris, Vrin, 1973.
[2] Vladimir Losski, Teologia Mistica della Chiesa d’Oriente, Il Mulino, Bolonha, 1967, p. 159.

lundi 14 mai 2012

Travessias da leitura

O desafio maior para quem lê é o próprio exercício da leitura. O desejo de conservar o texto em sua aparente literalidade geralmente leva a um caminho oposto àquele que se pretende. Ou seja, é necessário atravessar o texto por diferentes caminhos. É necessário, sem dúvida, lê-lo a partir de sua literalidade, que é nossa primeira leitura. Mas a literalidade nos leva ao símbolo, às imagens que são trasmitidas pelas palavras ou conjunto de palavras. Por isso, o que parece simples e claro, geralmente não é, já que as palavras são imagens e símbolos.
Vejamos um exemplo simples, durante séculos os cientistas descreveram o mundo como semelhante a uma máquina, governando o mundo estavam os princípios de regularidade e ordem. Todas as coisas pareciam a soma das partes: as causas e efeitos estavam ligados linearmente e os sistemas se moviam de modo determinista e previsível. Mas, com o passar do tempo, os cientistas viram que existiam fenômenos que contradiziam a lógica linear: as formas espirais das chamas de fogo, os redemoinhos em correntes e as formações de nuvens, por exemplo, não podiam ser representadas por simples equações lineares.

E a travessia dos textos bíblicos nos mostraram que, para além da linearidade do texto, existe a leitura simbólica que nos remete às construções teológicas. Assim, se existe a realidade imediata do “deserto” como lugar árido, seco e de difícil sobrevivência, a imagem “deserto” nos remete ao conceito teológico de que espiritualmente e, mesmo existencialmente, muitas vezes, somos desafiados a através o “deserto” que não é literal, é simbólico, mas que também existe.

Por isso, falamos de travessias do texto bíblico. Essas travessias fazem diferentes percursos: o literal, o simbólico, o ecológico, o ético, o estético, entre outros, e o do futuro. Ora, quando lemos o texto numa primeira vez, sem dúvida, somos obrigados a partir da literalidade dele. E para mergulhar nessa literalidade devemos utilizar recursos de análise e intepretação como, por exemplo, pesquisar as condições e época em que foi escrito, a quem foi dirigido e com que finalidade. Mas também os recursos literários que foram utilizados na sua construção, ou seja, verbos, substantivos, adjetivos, e expressões idiomáticas, por exemplo. E palavras-chave que se destacam no texto serão importantes na compreensão dessas travessias, porque podem e devem ser cruzadas com outras presentes em diferentes textos, o que nos remeterá às imagens e aos símbolos construtores de um conceito teológico -- como vimos no caso de “deserto”.

O conceito teológico, porém, vai apontar para outros caminhos. O que essa proposta teológica está sugerindo que eu faça? Esse caminho aponta paras as travessias ecológica, ética, estética, que me exortam a viver de determinada maneira, a partir da travessia teológica. E se eu vivo de determinada maneira, a partir das travessias ecológica, ética, estética propostas pela travessia teológica, esse caminhar ecológico, ético, estético apontam para um futuro. Esses são algumas travessias possíveis do texto bíblico. São vias que remetem ao meu futuro e da minha comunidade, que brotam da teologia, que por sua vez nascem da literalidade do texto.

A esse conjunto de travessias, que fazem a riqueza da leitura e compreensão não linear do texto escriturístico é a complexidade hermenêutica. Essa expressão encerra elementos, conjunto de informações, fatos e circunstâncias que têm nexo entre si, mas que navegam num mar aparentemnete caótico, que pode ser entendido como o vazio obscuro e ilimitado que precede e propicia a geração das compreensões do texto para a vida de uma pessoa ou de uma comunidade. Na construção das leituras complexa do texto, partindo da literalidade, podemos ir mais fundo ainda nesta construção dessas compreensões se vermos complexidade e caos como aqueles comportamentos imprevisíveis que aparecem em sistemas regidos por leis. Assim, determinadas questões teológicas são praticamente impossíveis de serem compreendidas numa abordagem tradicional de causa-efeito, por exemplo, o sistema ecológico presente no sexto dia da criação, em Gênesis, ou as propostas sanitárias de Deuteronômio. Mas as dificuldades, às vezes, são atribuídas à impossibilidade de se isolar os ruídos externos ao sistema teológico como, por exemplo, a presença dos dogmas confessionais que, muitas vezes, levam às distorções de compreensão.

As compreensões, então, para questões teológicas nem sempre estão na procura de mais informações para tentar encontrar uma relação de causa-efeito, mas em entender quais regras básicas regem o comportamento do sistema simbólico de nossa religiosidade judaico-cristã, que tipo de retroalimentação existe, de que forma esta retroalimentação atua no sistema e o tipo e duração dos ciclos de retroalimentação. Isso é o que chamamos de hermenêutica da dinâmica não-linear ou hermenêutica da complexidade para uso na teologia, onde o caos se refere às áreas de instabilidade de fronteira, o que para nós significa, em termos teológicos, que se move entre o equilíbrio de um lado, em especial a revelação, e a complexa situação randômica da construção da realidade.
Necessitamos a hermenêutica da complexidade para melhor compreender as relações entre a simbologia da revelação e a interpretação e suas expressões estruturais e organizacionais. Essas estruturas são sistemas complexos constituídos por agentes interativos com uma tendência aparente para a auto-organização, pois os crentes nas religiosidades judaico-cristãs são adaptativos, de modo que as regras de seus comportamentos mudam à medida que eles aprendem. Na verdade, esse mundo religioso judaico-cristão não é aquele representado pela metáfora de uma máquina. As coisas são mais do que a soma de suas partes: equilíbrio é morte, causas são efeitos e efeitos são causas, desordem e paradoxo estão em toda a simbologia da revelação.

Por isso, dizemos que uma hermenêutica da complexidade deve levar em conta que se antes, na modernidade, a interpretação foi entendida como aparato de retroalimentação negativo, que possibilitou a construção de dogmáticas confessionais e encaminhou fiéis na direção da correção de seus desvios do plano traçado, à luz da hermenêutica da complexidade o quadro é mais rico. As interpretações de origem iluminista não estão corretas, hoje, nem para leituras ligadas às rotinas do viver diário e, muito menos, no que tange às construções de conhecimentos que respondam às necessidades das confissões judaico-cristãs no mundo da alta modernidade -- elas se encontram em crise. Os resultados de suas ações não podem ser definidos porque as estruturas dos sistemas religiosos tornam o futuro impossível de ser controlado. O corolário é que o dogma viável não é mais o resultado de um intento prévio de um intérprete visionário, mas emerge das múltiplas possibilidades lançadas por várias dinâmicas em colisão entre a vida humana e o texto. Assim, nós leitores deveríamos pensar como jardineiros e, em vez de deliberar, deveríamos trabalhar possibilidades. 

Si Chile es ejemplo, ¿por qué las protestas?



MAURICIO AVILA | THURSDAY, APRIL 5, 2012
Suramérica | Economia y Sociedad

HACE UN PAR DE SEMANAS nos encargaron desde Londres (donde están las oficinas centrales de mi compañía) una entrevista con la líder de las protestas estudiantiles del año pasado en Chile, Camila Vallejo.

Entre las preguntas que nos enviaron estaba la siguiente: si Chile es ejemplo para muchos países en varios ámbitos, ¿por qué protesta la gente? Este requerimiento me hizo pensar que justamente esa debe ser una gran interrogante para el mundo. Chile tuvo el 2011 un crecimiento del 6%, que está en el promedio de lo que otras economías de la región crecieron. Más que México, menos que Argentina, pero más que Brasil y Perú.

Efectivamente, un país con un ingreso percapita superior a los 16 mil dólares, con estabilidad política y buenos índices generales en calidad de vida y altos niveles de inversión en otros países, no debiera tener problemas internos. Pero sucesivamente los chilenos han salido a la calle para protestar por la mala educación, por el cuidado al medio ambiente, por la centralización que hunde a las regiones extremas...

Por eso es bueno meterse en algunas de las cifras que explican las protestas. A Chile le gusta compararse con las 27 naciones miembros de la OECD. Y en el ítem de desigualdad, está al final de la lista. Mientras en el promedio de los países OECD el 10% más rico de la población gana 9 veces lo que gana el decil más pobre, en Chile esa cifra se triplica: el 10% más rico de la población gana 27 veces el sueldo del decil de menores ingresos. Si uno considera el percapita de los chilenos, dejando fuera al 10% más rico, el índice baja a poco menos de 9 mil dólares. El 60% de los chilenos gana menos de 800 dólares al mes.

Vamos a la educación. En Chile no existe educación superior gratuita. En promedio una carrera universitaria cuesta 400 dólares al mes. Vale decir, una familia que tiene un hijo en la universidad gasta la mitad de sus ingresos en la educación de él. Y ahí es donde entra el mercado. Chile tiene una de las economías de libre mercado más abiertas del mundo, y el sistema educacional se construyó sobre esa premisa. Finalmente, los jóvenes y sus familias deben pedir préstamos para poder estudiar que se pagan hasta a 20 años. Y no hay ningún estudio que demuestre que la inversión se justifique por los ingresos futuros como profesional.

Por eso los chilenos protestan. Es cierto, las cifras macroeconómicas del país son excelentes, mucho mejores que el promedio de la región y mucho más cercanas a los países desarrollados, pero la realidad es muy distinta.

jeudi 10 mai 2012

A TRINDADE

Dói-me nas veias. Amargo e quente,/ Cai, gota a gota, do coração. / E nestes versos de angústia rouca, / Assim dos lábios a vida corre, / Deixando um acre sabor na boca. / Eu faço versos como quem morre”. Desencanto, Manuel Bandeira.
A Trindade de Andrei Rublev (cerca de 1360 a 1430)
Vamos começar esse capítulo com a cláusula joanina que encontramos na primeira carta de João 5.7-8. Sabemos que alguns estudiosos afirmam ser esse pequeno texto um acréscimo feito à carta do apóstolo no século XII, no Quarto Concílio de Latrão. Mas o certo é que está presente em nossas bíblias, e diz, dependendo da tradução, que “há três que dão testemunho [no céu: o Pai, a Palavra e o Espírito Santo; e estes três são um. E três são os que testificam na terra]: O Espírito, a água e o sangue, e os três são unânimes num só propósito". E nas bíblias que descartam a cláusula joanina a redação segue este padrão “são três os que dão testemunho: o Espírito, a água e o sangue, e os três estão de acordo entre si”.

Por ser uma referência explícita à Trindade é rejeitado pelas correntes cristãs que não aceitam este dogma e, por isso, não está incluído em suas versões da Bíblia. A Igreja Católica aceita o dogma da Trindade, mas não reconhece o "Parêntese Joanino" como autêntico, e não o inclui em sua Bíblia canônica. Veja o que diz a Bíblia de Jerusalém, tradução católica, em uma de suas notas:

"O texto dos vv. 7-8 está na Vulgata de um inciso (aqui abaixo está entre parênteses) ausente nos antigos manuscritos gregos, nas antigas versões e nos melhores manuscritos da Vulgata, e que parece ser uma glosa marginal introduzida posteriormente no texto: 'Porque há três que testemunham (no Céu: o Pai, o Verbo e o Espírito Santo, e esses três são um só; e há três que testemunham na terra): o Espírito, a água e o sangue, e esses três são um só'."

Em alguns manuscritos antigos constam o "Parêntese Joanino" e em outros não. As controvérsias vem de longe e, historicamente, envolvem diferentes correntes dentro do cristianismo. As que rejeitam a Trindade, consideram Jesus um ser divino, mas numa escala abaixo do Pai. Para algumas correntes, o "Parêntese Joanino" teria sido acrescentado como resposta às heresias que surgiram a partir do segundo século, e serviu para firmar a figura de Jesus como "semelhante ao Pai", ao afirmar a Trindade como Pai, Filho e Espírito. Para muitos, tal parêntese não pertencia à carta do apóstolo João e por ser acréscimo, não seria inspirado texto inspirado, logo não era escritura sagrada.

A corrente contrária argumenta que o "Parêntese Joanino" é autêntico, tendo sido escrito por João, e que foi ao longo do tempo excluído em alguns manuscritos e codex em função das conveniências doutrinárias de algumas correntes, nos primórdios do cristianismo. Tendo sido escrita por João, é de inspiração divina, logo pertencente ao Livro Sagrado.

De todas as maneiras, o Novo Testamento nos apresenta em diferentes textos a fórmula trinitária, como a apóstolo Paulo em IICoríntios 13.13, quando diz: “a graça do Senhor Jesus Cristo, o amor de Deus e a comunhão do Espírito Santo estejam com todos vocês”. Essa oração litúrgica trinitária (cf. Mt 28.19) aparece em outras passagens das epístolas paulinas, em diferentes contextos, e aqui citaremos algumas: Rm 1.4ss; 1Co 2.10-16, 2Co 1.21ss; Gl 4.6; Fl 2.1; Ef 4.4-6; IITs 2.13; e Tt 3.5ss. Mas estão presentes também em At 20.28; Hb 9.14, 1Pe 3.18; Jd 20-21; e Ap 22.1. 

Além das formulações ternárias, é importante ver a força do pensamento trinitário de Paulo, quando diz, por exemplo, em 2Ts 2.13-17: “Irmãos, sempre devemos dar graças a Deus por vocês, a quem o Senhor ama. Pois Deus os escolheu como os primeiros a serem salvos pelo poder do Espírito Santo e pela fé que vocês têm na verdade, a fim de tornar vocês o seu povo dedicado a ele. Foi para isso que Deus os chamou, por meio do evangelho que anunciamos, a fim de que vocês tomem parte na glória do nosso Senhor Jesus Cristo. Portanto, irmãos, fiquem firmes e guardem aquelas verdades que ensinamos a vocês tanto nas nossas mensagens como na nossa carta. Que o próprio Jesus Cristo, o nosso Senhor, e Deus, o nosso Pai, que nos ama e que na sua bondade nos dá uma coragem que não acaba e uma esperança firme, encham o coração de vocês de ânimo e os tornem fortes para fazerem e dizerem tudo o que é bom!”

A partir da leitura trinitária das Escrituras sagradas, em especial do Novo Testamento, os fiéis dos primeiros séculos adoraram a Trindade presente nos textos apostólicos. Mas, com o passar do tempo, dúvidas surgiram e afirmaram apenas a unicidade de Deus. Entre aqueles que defendiam tal posição estava o arianismo. Fez-se necessário então voltar a discutir e formular posições sobre a trindade de Deus.

Duas declarações de fé, propostas nos séculos quarto e quinto da era cristã, têm norteado a compreensão da Trindade. Logicamente, para a teologia evangélica esses credos não podem ser vistos como dogmas, mas como elementos fundamentais para a discussão, por serem as primeiras formalizações teóricas da Trindade. Vejamos o que dizem esses credos:

“Cremos em um Deus Pai todo poderoso, criador de todas as coisas visíveis e invisíveis. E em um Senhor Jesus Cristo, o Filho de Deus, gerado como o Unigênito do Pai, isto é, da substância do Pai, Deus em Deus, luz de luz. Deus verdadeiro de Deus verdadeiro, gerado, não feito, consubstancial com o Pai, mediante o qual todas as coisas foram feitas, tanto as que estão nos céus, como as que estão na terra, que para nós humanos e para nossa salvação desceu e se fez carne, se fez homem, e sofreu, e ressuscitou ao terceiro dia, e virá para julgar os vivos e os mortos. E no Espírito Santo. Aos que dizem, pois, que houve [um tempo] quando o Filho de Deus não existia e que antes de ser concebido não existia, e que foi feito das coisas que não são ou que foi formado de outra substância ou essência, ou que é uma criatura, ou que é mutável ou variável, a estes a igreja católica [universal] anatematiza”.[1] 

“Fiéis aos santos pais, todos nós, perfeitamente unânimes, ensinamos que se deve confessar um só e mesmo Filho, nosso Senhor Jesus Cristo, perfeito quanto à divindade, e perfeito quanto à humanidade, verdadeiramente Deus e verdadeiramente homem, constando de alma racional e de corpo: consubstancial [homoosious] segundo a divindade, e consubstancial [homoousios] a nós segundo a humanidade, ‘em todas as coisas semelhante a nós, excetuando o pecado’, gerado segundo a divindade antes dos séculos pelo Pai e, segundo a humanidade, por nós e para nossa salvação, gerado da virgem Maria, mãe de Deus [theotókos]. Um só e mesmo Cristo, Filho, Senhor, Unigênito, que se deve confessar, em duas naturezas, inconfundíveis e imutáveis, conseparáveis e indivisíveis. A distinção de naturezas de modo algum é anulada pela união, mas, pelo contrário, as propriedades de cada natureza permanecem intactas, concorrendo para formar um só pessoa [prosopon] e subsistência [hypostasis]: não dividido ou separado em duas pessoas [prosopa]. Mas um só e mesmo Filho Unigênito, Deus Verbo, Jesus Cristo Senhor, conforme os profetas outrora a seu respeito testemunharam, e o mesmo Jesus Cristo nos ensinou e o credo dos padres nos transmitiu”.[2]

I. A NATUREZA TRINITÁRIA

A natureza do Eterno pode ser considerada de dois modos: (1) como ela é em si mesma, como a vida de Deus; (2) e aquela que é revelada. Quando analisamos a partir do segundo modo, ou seja, da natureza trinitária revelada, temos a Sabedoria divina não criada, que pode ser definida como a mente divina que pensa a si mesma.

Nesse sentido, a Sabedoria, a Sofia trinitária não é uma simples idéia, mas algo real, embora não seja uma pessoa. Esta Sabedoria eterna revela a plenitude do Deus trino, mas revela também a beleza e a felicidade das três pessoas da Trindade, que nós chamamos de “glória de Deus”, que é diferente daquela glória que damos a Ele, porque a “glória de Deus” efetiva é aquela que Ele tem em si mesmo.

“O SENHOR me possuiu no princípio de seus caminhos e antes de suas obras mais antigas. Desde a eternidade, fui ungida; desde o princípio, antes do começo da terra. Antes de haver abismos, fui gerada; e antes ainda de haver fontes carregadas de águas. Antes que os montes fossem firmados, antes dos outeiros, eu fui gerada. Ainda ele não tinha feito a terra, nem os campos, nem sequer o princípio do pó do mundo. Quando ele preparava os céus, aí estava eu; quando compassava ao redor a face do abismo; quando firmava as nuvens de cima, quando fortificava as fontes do abismo; quando punha ao mar o seu termo, para que as águas não trespassassem o seu mando; quando compunha os fundamentos da terra, então, eu estava com ele e era seu aluno; e era cada dia as suas delícias, folgando perante ele em todo o tempo, folgando no seu mundo habitável e achando as minhas delícias com os filhos dos homens”. Pv 8.22-32.

Essa Sabedoria eterna -- que é apresentada em Provérbios como real, embora não seja uma pessoa, não é hipostática, tem o verbo hebraico qanah como origem, que significa possuir, dirigir e é diferente de barah, criar. A Sabedoria pertence indistintamente às três pessoas da Trindade, porém é revelação do Cristo e do Espírito. É revelação do Cristo enquanto universalidade das idéias divinas, e é revelação do Espírito enquanto glória de Deus.

Dessa maneira, as relações dentro da Trindade não são relações de origem ou causalidade, mas relações mútuas de revelação: o Pai se revela, o Filho e o Espírito revelam o Pai. Esta qualidade – a Sabedoria eterna – é a essência trinitária.

A geração do Filho e a expiração do Espírito não devem ser compreendidas com o conceito de procedência, já que este conceito leva à conclusão da desigualdade e a um caráter de subordinação entre as três Pessoas. O conceito correto é o da auto-revelação através da Sabedoria. Nesse sentido, as relações dentro da Trindade não são subsistentes, mas predicamentais. E porque a Sabedoria está nas três Pessoas, em sua hipóstase (pessoa) imediata, a Sabedoria é o Cristo, o Verbo de Deus, e o Verbo de Deus é Sabedoria. Mas está no Espírito que é a hipóstase do amor. 

“O amor de Deus, o amor do Pai pelo Filho e o amor do Filho pelo Pai, não é uma simples qualidade ou uma relação: ele possui uma vida pessoal, uma vida hipostática. O amor de Deus é o Espírito Santo, que procede do Pai ao Filho e que repousa nele. O Filho só existe para o Pai no Espírito Santo que repousa nele. Igualmente, o Pai manifesta o seu amor ao Filho através do Espírito Santo, que é a unidade de vida do Pai e do Filho. Esse é o lugar do Espírito Santo no âmbito da Santíssima Trindade”[3] 

A Sabedoria do Deus trino revela a glória do Pai, do Filho e do Espírito (Rm ll.33-36; Ef 1.11,12; Cl 1:16). Ela é qualidade de Deus, quer na criação (Sl.19:1-7; Sl.104), como na redenção (Ico 2.7; Ef 3.10).

A teologia cristã da Trindade designa um só Deus em três pessoas. Embora não apareça nas Escrituras o termo Trindade, a maioria quase absoluta da igreja cristã considera uma designação correta para o único Deus que se revelou nas Escrituras como Pai, Filho e Espírito Santo. Tal designação significa que dentro de uma única essência, a Sabedoria do Eterno, temos que distinguir três Pessoas que não são três deuses, nem três partes, nem três modos do Eterno se revelar, mas coiguais e coeternamente Deus.

Assim, podemos falar de:

a) Unidade do Eterno: Há no Eterno divino apenas uma essência, predicado das três Pessoas, a Sabedoria. Deus é um nesta sua natureza constitucional. Não há separação entre qualidades. Ele é tudo que Ele é e em tudo que Ele faz (Dt 6.4; Is. 43.40; Tg 2.19; 1Tm 2.5). A unidade da divindade é ensinada nas palavras de Jesus: Eu e o Pai somos um. (Jo.10:30). Jesus está falando da unidade da essência e não de unidade de propósito. (Jo.17:11,21-23, IJo.5:7). 

b) Pessoalidade na Trindade: Há três Pessoas no Eterno divino: o Pai, o Filho e o Espírito Santo. (Mc.10:9;12:29; ICo.8:5,6; 1Tm.2:5; Tg.2:19; Jo.17:3; Gl.3:20; Ef.4:6). 

c) Diversidade na Trindade, ou seja, diversidade hipostática no Eterno divino. Algumas passagens mostram uma Pessoa se referindo à outra (Gn.19:24; Os.1:7; Zc.3:1,2; 2Tm.1:18; Sl.110:1; Hb.1:9). 

O Deus trino é o Eterno Eu Sou (Ex 3.14). O Deus trino é absolutamente independente de tudo fora de Si mesmo para a continuidade e perpetuidade do ser Eterno. O Deus trino é a razão de sua própria existência (Jo.5:26; At.17:24-28; ITm.6:15,16).

II. A TEOLOGIA DOS PAIS ORIENTAIS

A teologia dos Pais orientais é uma teologia trinitária por excelência, elaboradora das definições da unidade e diversidade das Pessoas na Trindade. O termo homoousios permitiu exprimir o mistério da Trindade. As relações entre as Pessoas da Trindade não são de oposição, nem de separação, mas de comunhão, de diversidade e de revelação recíproca no Pai. 

Os atributos, que são predicados e qualidades, se referem à natureza comum das três Pessoas sem diferenciações. Sendo a unicidade evocada na sua relação com à fonte que é o Pai. A inascibilidade do Pai, a geração do Filho e a processão do Espírito são as relações que melhor permitem distingui-las.

As relações de origem não são o único fundamento das hipóstases, que as constituiria e as esgotaria do seu conteúdo. A teologia dos pais orientais reserva um caráter sempre ternário das relações, suprimindo qualquer possibilidade de as reduzir à dualidade, à formação de díades no seio da Trindade.

Na Trindade encontram-se reunidos e circunscritos o uno e o múltiplo, no entanto, os Pais não procuravam justificar pela razão o número três. A matemática não justifica o um absoluto, sendo assim a unidade composta do Eterno não pode ser explicada através de pensamentos ditos “lógicos”, se a própria ciência não reconhece o um absoluto.

A teologia dos Pais orientais encara em primeiro lugar o subordinado e aí penetra depois para encontrar a natureza. Este método facilita a nossa compreensão, pois parte das três pessoas, como Jesus o fez na “Grande Comissão”, e chega-se a partir daí à unidade de Deus. Para os pais orientais partir da monarquia do Pai é tanto um perigo como partir da natureza una que se transforma em princípio da unidade na Trindade. O princípio de unidade não é a natureza, mas as relações de comunhão, de diversidade e de revelação recíproca que o Pai estabeleceu como fonte.

Confessar a unidade trinitária é reconhecer o Pai como a única fonte das hipóstases que simultaneamente recebem dele a mesma e única natureza. A hipóstase é a maneira pessoal de se apropriar da mesma natureza, sendo que cada uma delas na sua realidade única ultrapassa as simples relações de origem eterna. A única fonte hipostática é o Pai. E a geração do Filho e a processão do Espírito é isto: a auto-revelação do Pai, através do Espírito, no Filho; e a auto-revelação do Pai, através do Cristo, no Espírito. 

O Pai é a fonte da verdade, o Filho é o princípio da revelação da verdade do Pai, o Espírito Santo é o princípio da sua manifestação dinâmica e vivificante, ele é a vida da verdade. E através da humanidade glorificada do Cristo temos a expressão do amor da Trindade infinita, a participação na vida divina e a visão da glória do Deus trino.

Podemos, então, dizer que na economia da teologia trinitária a Trindade é o fundamento que possibilita as particularidades correlatas, Pai, Cristo e Espírito. É a primalidade ímpar de qualquer possibilidade, o que implica em união e equilíbrio. E porque é o fundamento das correlações e a presença mínima para a escolha não-arbitrária, é a base da unidade e diversidade em sua natureza e substância, e também do Ser enquanto Pai, Cristo e Espírito, distintos, a subsistir na mesma natureza. 

Na encarnação, o Cristo viveu a cenose (veja Glossário), a retração (Fp 2.6-7), e sentiu-se distante do Pai no momento de sua morte. Mas a correlação é real e necessária, e o que temos eternamente é plenitude e presença do Pai e do Espírito no Cristo. 

III. A TRINDADE NOS DOIS TESTAMENTOS

A principal contribuição do Antigo Testamento para a teologia da Trindade é enfatizar a unidade de Deus. Deus é singular e único, conforme Dt 6.4 -- “O Senhor nosso deus é o único Senhor”]. Deus exige a exclusão de todos os falsos deuses, descartando qualquer possibilidade de triteísmo (Dt 5.7-11).

“Chegai-vos a mim e ouvi isto: Não falei em segredo desde o princípio; desde o tempo em 
que aquilo se fez, eu estava ali; e, agora, o Senhor Iavé me enviou o seu Espírito”. Isaías 48.16. 

Mas é no Novo Testamento que a evidência trinitariana é esmagadora. Deus continua sendo pregado como Deus único (Gl 3.20), Jesus porém proclama sua própria divindade (Jo 8.58) e aceita a adoração de seus discípulos (Mt 16.16; Jo 20.28). É equiparado a Deus (Jo 1.1), e associado a Deus nas cartas de Paulo (1Co 1.3, etc.). Mas o Consolador, o Espírito de Deus é incluído no mesmo relacionamento (2Co 13.14).

O apóstolo Pedro destaca a eleição pelo Pai, a santificação através do Espírito e a aspersão do sangue de Jesus Cristo (1Pe 1.2) em relação à salvação dos crentes. No batismo de Jesus, as três Pessoas são mencionadas (Mt 3.16-17). Os discípulos são chamados a batizar em nome das três Pessoas (Mt 28.19) e a benção de Paulo, completa, inclui o amor de Deus, a graça do Filho e a comunhão do Espírito Santo (2Co 13.14). 

Por isso, podemos dizer com Irineu, "não foram os anjos que nos plasmaram, os anjos não poderiam fazer uma imagem de Deus, nem outro qualquer que não fosse o Deus verdadeiro, nem uma Potência que estivesse afastada do Pai de todas as coisas. Nem Deus precisava deles para fazer o que em si mesmo já tinha decretado fazer, como se ele não tivesse suas próprias mãos! Desde sempre, de fato, ele tem junto de si o Verbo e a Sabedoria, o Filho e o Espírito. É por meio deles e neles que fez todas as coisas, soberanamente e com toda a liberdade, e é a eles que se dirige quando diz: 'Façamos o homem à nossa imagem e semelhança'". Ireneu de Lião, Contra as Heresias, ano 189, IV, 20, 1.

Fonte
PINHEIRO, Jorge, Teologia Bíblica e Sistemática, o ultimato da práxis protestante, São Paulo, Fonte Editorial, 2012, pp. 53-62. 

[1] Credo de Nicéia (325 AD) in J. L. González, Uma História do Cristianismo, 2:97; em português contemporâneo por Jorge Pinheiro.
[2] Credo de Calcedônia (415 AD), Concílio de Calcedônia, Actio V, Mansi, VIII, 116s, in H. Bettenson, Documentos da Igreja Cristã, 1967, p.86, em português contemporâneo por Jorge Pinheiro.
[3] Serghiei Bulgakov, L’Ortodoxie, Paris, 1932, p. 2.